Pietro Querini, nobile veneziano, desideroso di conquistare onori e ricchezze, decise di approntare un viaggio nelle Fiandre. Armò una “Cocca Veneziana” con una stazza di 700 tonnellate, costruita con legno di cipresso e dopo averla caricata di vini malvasia, spezie, cotoni ed altre mercanzie di grande valore, il 25 aprile 1431 salpò da Candia (Creta) con 68 uomini di equipaggio. Ancor prima della partenza il viaggio fu segnato da un avvenimento che si rivelò il primo di alcuni fatti che accaddero durante il viaggio e che furono presagio della tragedia finale. Cinque giorni prima della partenza morì improvvisamente il figlio maggiore; appena partiti furono spinti da venti contrari e dovettero costeggiare gran parte della Barberia (Costa dell’Africa settentrionale) ed il 2 giugno, nei pressi del porto di Cadice, urtando su alcuni scogli sommersi ruppero il timone e dovettero attendere 25 giorni per la riparazione. Tutto il loro viaggio fu funestato da vari incidenti causati dal mare in tempesta e dai forti venti : dapprima la caravella, spinta dal grecale, navigò per 45 giorni nei dintorni delle isole Canarie, poi la forza del vento ruppe nuovamente le chiavarde del timone e dovettero ripararlo alla meglio fino all’arrivo a Lisbona. Ripartirono verso Mures (oggi Muros) dove arrivarono il 26 ottobre, proseguendo poi per Capo Finisterre dove, spinti da un favorevole vento di libeccio, navigarono per 200 miglia a dritta, ma il 5 febbraio si levò un forte scirocco che li spinse fuori rotta fino all’arcipelago di Las Sorlingas (isole Scilly). La forza del vento ed il mare in tempesta ruppero nuovamente il timone e le vele, cosicchè la caravella, rimasta senza controllo, si allontanò sempre più dalla terra. La furia del mare distrusse anche due timoni di emergenza costruiti dai falegnami di bordo e la vela di riserva e così la caravella, senza timone e senza vele, cominciò a vagare alla deriva in balia del mare in tempesta, finchè, il 7 dicembre le onde soverchiarono la barca, privandola dell’intelaiatura e di quel che rimaneva per tentare di governarla e così fu deciso di calare le scialuppe, anche se la terra più vicina (l’Irlanda ) distava circa 700 miglia. Nella scialuppa più piccola salirono 21 marinai e in quella più grande 47 e lo stesso Querini. Dei ventuno marinai non si ebbero più notizie, mentre la scialuppa più grande, dopo molte peripezie in balia del mare burrascoso in cui perirono parecchi uomini per mancanza di viveri e di acqua, quindici giorni dopo approdò su un isolotto deserto. Durante la notte la scialuppa, spinta dalle onde, si sfasciò contro gli scogli. I naufraghi, sfiniti, poterono dissetarsi con l’abbondante neve che ricopriva l’isola, ma nella notte ne perirono altri cinque. I sopravissuti si cibarono dei pochi molluschi e delle patelle che riuscivano a trovare sulla spiaggia giacchè erano troppo deboli per tentare di pescare. Fortuna volle che il mattino seguente, ispezionando a fatica l’isolotto, scorsero una capanna di legno dove poterono rifugiarsi, con una nuova speranza: quel manufatto testimoniava che nei paraggi vi erano senz’altro dei luoghi abitati. Trovarono spiaggiato anche un grosso pesce che servì a lenire per qualche giorno la loro fame. Dopo alcuni giorni furono trovati da tre pescatori (padre e due figli) che, provenienti dalla vicina isola di Rost, mentre si trovavano nelle vicinanze in barca, scorsero del fumo uscire dalla capanna. Fu così che i pochi sopravissuti (otto oltre al Querini) furono salvati. Gli Italiani rimasero nell’isola tre mesi e mezzo, ospiti delle famiglie. Querini racconta che nell’isola abitavano 120 persone ; gli uomini erano dediti alla pesca, che era l’unico sostentamento, visto che non cresceva alcun frutto. Precisa che per tre mesi all’anno (d’estate) è sempre giorno, mentre nei mesi invernali è quasi notte. “Vengono pescati in quantità due tipi di pesce: stoccafisso ( merluzzo) e passere di mare, o sogliole molto grosse. Gli stoccafissi vengono seccati al vento e al sole così che diventano duri come legno e per mangiarli li battono con il rovescio di una scure fino a filettarli tanto sottilmente che sembrano nervi, poi li condiscono con burro e spezie”. Quella triste avventura, poi a lieto fine (per i pochi sopravissuti), fu utile sia al Querini che ebbe modo di conoscere lo stoccafisso e farlo conoscere a Venezia (un cibo che si poteva conservare, quindi adatto nei lunghi viaggi in mare) sia agli abitanti di Rost che ampliarono così il loro commercio. Dal diario del nobile veneziano i discendenti di quei pescatori hanno appreso la storia della loro isola e degli abitanti di quel tempo, i loro usi e costumi. Querini è divenuto un “Personaggio”, tanto che nell’isola di Sandoya, dove si presume sia approdato, è stata eretta una stele a ricordo e la scuola di Rost è a lui intitolata. Corsero voci che gli Italiani, nella loro permanenza nell’isola, avessero lasciato dei “ricordi”; probabilmente si tratta di pura fantasia … ma a Rost ci sono parecchie persone con i capelli neri.

 

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